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Prima e dopo lo “strappo”. Immaginare nuovi paesaggi nel sud est Goitzsche

di Domenico Luciani


Emerge l’idea che la qualità dei nuovi paesaggi può assumere un ruolo portante dell’occupazione futura. All’economia fondata sulla miniera si sostituirà un’economia fondata sulla bellezza dei luoghi.
A noi il paesaggio della Goitzsche appare come un enorme “strappo”, rispetto al quale c’è un prima e un dopo e nel quale il dopo nasce dal prima.
La trama territoriale, ambientale e paesaggistica esistente prima si può vedere solo nelle carte del secolo XVIII e dell’inizio del secolo XIX. Così, agevolmente, si possono ricostruire gli andamenti dei fiumi (Mulde, Leine, Lober, …), le posizioni dei paleoalvei, dei prati umidi, dei boschi, dei villaggi che non ci sono più (Niemegk, Döbern, Seelhausen, Bärenhof, Paupitzsch), i tracciati delle strade e dei sentieri, e gli spostamenti successivi delle linee ferroviarie.
Tutta questa tessitura appartiene ormai, irrimediabilmente, a un passato non ricostruibile. Non si può nemmeno immaginare una specie di anastilosi, di percorso all’indietro verso un “com’era, dov’era”.
Si può, invece, assumere la memoria di questo prima come traccia, indizio, filo rosso per risolvere il limes tra territorio rimasto fuori dal buco e territorio strappato dentro il buco.
Il tema è che fare nel limes. Innanzi tutto bisogna accettare una articolazione, una varietà suggerita dal fuori. Si può, e si deve, lavorare con la fantasia non tanto alla dislocazione di oggetti artistici più o meno talentuosi, ma alla invenzione di fili e nodi di una rete alla scala del paesaggio, così come ci propone la trigonometria dei villaggi o la trama di segni del Gartenreich.
Possiamo immaginare “nuovi Drehberg”. Drehberg è un piccolo rilievo orientatore e ordinatore del paesaggio agrario, posto tra i villaggi di Vockerode e di Wörlitz, realizzato dal principe Franz. Avrebbe dovuto essere il mausoleo della famiglia principesca. È dotato di densa memoria accumulata in due secoli, usato in varie occasioni, come punto di incontro dalla gioventù nazista e della gioventù comunista. La Fondazione Bauhaus lo ha riportato in questi anni all’attenzione delle comunità locali. Al Drehberg rinvia la nostra ipotesi di usare brani di paesaggio ancora ritrovabili e allineamenti percettibili come elementi che contribuiscono a ridare forma agli spazi di riva dei nuovi paesaggi lacustri.
Occorre immaginare un abaco di topoi diversi tra loro.
Alcuni riguardano i corsi d’acqua, canali, fiumi, e potrebbero presentarsi come figure dell’acqua e della natura. Dove il fiume è interrotto, lo si può far proseguire dentro con il linguaggio della natura. Ad esempio: la valletta della Leine è ancora bella, almeno da Reibitz fino a Sausedlitz, e la foce del fiume nel buco va trattata proseguendo dentro col linguaggio della natura, senza aggiungere insediamenti o attrezzature tecniche di nessun genere (nemmeno leggero o ludico). Si tratta di far parlare il linguaggio dell’acqua e del mondo vegetale legato all’acqua, con progetti che puntino sull’ambiguità acqua-terra, che è il contrario della separazione netta tra acqua e terra.
Un’ipotesi di metodo così schematicamente delineata potrebbe essere applicata anche all’area di fronte a Pouch per definire il rapporto tra il villaggio e la nuova penisola (paleoalvei della Mulde).
Alcuni altri riguardano le strade e potrebbero presentarsi come imbarcaderi, “poste”, stazioni.
Dove le strade sono interrotte, si possono immaginare relais intermodali di dimensioni da studiare (imbarcaderi, “poste”, stazioni) per cambiare mezzo di mobilità (auto/bici/cavallo/barca/piedi), per trovare comfort (servizi igienici e di ristoro, telefono), per riunire un gruppo di visitatori o una scolaresca (terrazza coperta, belvedere). La storia delle “poste” è legata alla storia dei “campanili”, delle “torri”, dei “capitelli”, e ha sempre una trigonometria dei pochi chilometri (circa tre), che significa un’ora a piedi, mezz’ora a cavallo e in barca, un quarto d’ora in bicicletta. L’altezza dei manufatti (interventi artistici) deve essere visibile dall’uno all’altro. Il sistema dei fili dovrebbe coinvolgere i villaggi esistenti, così da farli diventare basi di appoggio logistico anche per i visitatori, con soggiorno nel villaggio e mobilità nel paesaggio senza bisogno di nuovi insediamenti ai bordi del lago.
Alcuni altri sono i villaggi distrutti dalle macchine gigantesche.
Dove c’erano i villaggi che non ci sono più, occorre ripensare a qualcosa che li rievochi analogicamente. Sia Niemegk, che Döbern, che Seelhausen, sono ai limiti del buco. Si possono immaginare piattaforme galleggianti di adeguata dimensione (piazzette nell’acqua), alle quali si può arrivare con ponti leggeri che proseguono le strade strappate.
Appena al di qua e appena al di là del ponte potrebbero essere costruiti, su pali, manufatti che abbiano funzione utile (idraulica, ludica, museale) per tutta la Goitzsche.

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Riportiamo qui la versione originale del testo pubblicato in tedesco con il titolo Vor und nach dem Riss. Für die Gestaltung neuer Landschaften im Südostraum der Goitzsche in Aufbruch zu neuen Ufern. Die Goitzsche 62 Quadratkilometer Bergbaufolgelandschaft bei Bitterfeld. Das weltweit größte Landschaftskunstprojekt, pp. 145-153, e in inglese in Heading for New Shores. The Goitzsche 62 Square Kilometers in a Former Mining Landscape near Bitterfeld. The World’s Largest Landscape Art Project, pp. 42-43, entrambi a cura di Heinrich Schierz-Kreissparkasse Bitterfeld, Verlag Janos Stekovics, Halle an der Saale 2001.

 
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