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la Fondazione per

Il giardino nel nostro tempo, nel nostro mondo

di Lionello Puppi


Continuiamo.
V’è una novella di Herbert George Wells che, discutendo intorno al tema difficile del giardino, e tentando una risposta alla domanda intrigante che cosa esso sia, m’è capitato spesso di richiamare. Torno a farlo.
Ne è protagonista un austero personaggio; uno studioso, mi pare, o un uomo di legge, assurto per i suoi meriti ad elevate e prestigiose dignità. La sua vita è stata sempre irreprensibile; la stima e l’affetto di amici eletti e devoti lo circondano. Dentro di sé, tuttavia, nasconde un segreto inconfessabile: che è un ricordo lancinante, una nostalgia insopportabile.
Quando, un giorno lontano – era poco più che fanciullo o appena adolescente – camminando lungo un’alta e grezza muraglia di mattoni, s’era avveduto con sorpresa di una porta, della quale mai, in precedenza, percorrendo quel tratto di strada che gli era consueto, s’era accorto. I battenti eran appena accostati, anzi socchiusi; incuriosito, li aveva spinti: docili, s’eran spalancati. Varcata la soglia, un orizzonte incredibile ed indicibile gli si era offerto agli occhi, di fiori d’ogni specie e d’ogni profumo, lussureggiar di piante e d’alberi, il cui addensarsi s’apriva poi su distese di prati percorsi da docili animali esotici. S’era inoltrato nel giardino di incanti, aveva seguito il diramarsi dei sentieri, aveva sostato qua e là inebbriato. Un sentimento di felicità totale, assoluta, l’aveva pervaso. Era tornato in sé quando il sole era ormai calato e il fresco dell’imbrunire gli aveva dato la breve scossa di un brivido. Tornato al varco da cui era entrato in quel luogo fiabesco, ne era uscito e, riaccostati, cauto, i battenti della porta, si era ripromesso di tornar l’indomani. E tornerà, camminerà lungo l’alta e grezza muraglia di mattoni: ma, della porta, non riuscirà più a trovar traccia. «Debbo essermi distratto», pensa; «la porta era forse altrove, più giù, più su». Ripercorrerà, con ansia e poi angoscia crescenti, avanti e indietro, il tratto di muro. Nulla, giorno dopo giorno. Eppure, sapeva che il giardino fatato non era stato il fantasma di un sogno. L’adolescente cresce; compie brillantemente studi difficili; guadagna, una dopo l’altra, le tappe ardue di un corso d’onori glorioso; è additato al rispetto e all’ammirazione di tutti, e vien guardato, con invidia, come chi ha realizzato nella vita quanto di più nobile e bello si potesse raggiungere. Ma, dentro di lui, la ferita continua a sanguinare di un ricordo che non rivela a nessuno. Una porta in un muro, aperta, una volta, sulla malìa di un eden, divenuto, subito dopo essersi dato nella compiuta pienezza del suo magico fulgore, introvabile, invisibile.
Un mattino, passeggiando pensieroso, si perde per vicoli contorti, ne esce su una strada bordeggiata da un’erta muraglia; la riconosce, e, quasi senza volerlo, accelera il passo, risalendo la barriera di grezzi mattoni; d’improvviso, con un sobbalzo del cuore, scorge una porta, i battenti appena accostati, quasi socchiusi. Li spinge, si spalancano. La sera, gli amici che puntualmente incontrava nel circolo esclusivo consueto per il bicchierino di sherry e svagati conversari, si sorprendono nel non vederlo arrivare: mai era accaduto. Più che preoccupati, sconcertati, lo fan cercare a casa e apprendono che non vi era rientrato: né rientrerà nel corso della notte. È scomparso. All’alba, cominciano le ricerche che si protraggono, sempre più frenetiche ma invano, per giorni e giorni, sino a quando qualcuno, inorridito, ne troverà il corpo esanime, e già quasi decomposto, tra rottami, immondizie, carcasse, in una discarica abbandonata, ai bordi della città, al di là di un’alta e grezza muraglia di mattoni.

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Intervento conclusivo di Lionello Puppi alle giornate di studio sul paesaggio 2004, prima edizione,
Treviso, sabato 7 febbraio 2004.

 
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