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la Fondazione per

Il giardino nel nostro tempo, nel nostro mondo

di Lionello Puppi


Anzitutto, un grazie, che non appartiene ai rituali obbligati delle cerimonie insipide, ma viene dal profondo del cuore.
Alla Fondazione Benetton Studi Ricerche e, per essa, all’Amico Domenico Luciani – che ne è l’anima, generosa instancabile possente, accesa da una passione che è temperata dalle doti rare della pazienza e dell’ironia – per aver voluto che a me fossero dedicate queste due indimenticabili giornate di studio e di riflessione sul tema del giardino, inusitato e perciò di vera attualità nel crepuscolo, che incombe (ma gli impediremo d’attingere la tenebra letale della notte), della ragione e dell’anima. Ma, anche, desidero dir grazie a Domenico (sodale e complice di tante battaglie intellettuali e civili) per avermi dato il conforto di accettare il dono modesto – ma è il solo autentico che uno studioso possa fare – delle carte caotiche del mio archivio di lavoro, e per aver affidato quei materiali torrenziali ed intemperanti alle cure competenti e squisite di una giovane bibliotecaria, Francesca Ghersetti, le cui attenzioni premurose mi hanno toccato e commosso. E grazie, quindi, ai Colleghi incomparabili, e alla lor volta complici, con Domenico e con me nella giuria del Premio Carlo Scarpa – Carmen Añón, Monique Mosser, Sven-Ingvar Andersson, Ippolito Pizzetti – per le testimonianze suggestive e stimolanti che hanno voluto portare: accomunandoli agli altri Colleghi che, del pari, son convenuti qui ad arrecare esposizioni non meno significative: ad Anne Whiston Spirn, a Massimo Venturi Ferriolo, a Hervé Brunon; e alla dilettissima Margherita Azzi Visentini, con particolar slancio per i ricordi che ha evocato e perché al suo maestro ha dato la maggior soddisfazione che un maestro possa attendersi da un allievo: di essere diventata più brava di lui. Ma la ringrazio pure, Margherita, per il coraggio delle denunce che ha sporto e il cui peso dovrà gravare come un macigno sulla coscienza di chi tanti delitti irreparabili commette per la fame dell’oro. Se pur è un fatto che «perdér es cuestion de método» – come qualcuno ha detto – e ci siamo abituati a non vincere più, almeno questo ci resta: di dare ostinatamente e interminabilmente fastidio.
Un grazie, alfine, a tutti quanti son intervenuti a queste giornate (e vedo tanti altri Amici, e brillanti Allievi carissimi) a dispetto di nebbie e intemperie, rispondendo solo all’urgenza di un sentimento invincibile di devozione ai diritti della cultura (come i Pagani, avrebbe detto l’indimenticabile Giulio Carlo Argan, che riparavano nei villaggi remoti per evocare gli dei, cacciati dai templi abbattuti, nel racconto degli antichi miti), e non già obbedendo alla grancassa assordante dell’invito di media addomesticati o alla tentazione servile di esibirsi al cospetto delle cosiddette Autorità d’ogni risma e paludamento – politiche, burocratiche, militari, accademiche –, che, quando han sentore di impegno civile, vero, incontaminato e libero, ne fuggono il dialogo socratico come la peste bubbonica e, infatti e grazie a Dio, non ci hanno inflitto, affliggendoci, le liturgie vacue ed insulse, inseparabili dalla loro presenza, accigliata ma compiaciuta della sua ridondanza.

 

 

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Intervento conclusivo di Lionello Puppi alle giornate di studio sul paesaggio 2004, prima edizione,
Treviso, sabato 7 febbraio 2004.

 
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