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di Gherardo Ortalli
Un rendiconto dopo un ventennio Rispetto a quel 1987 di cui si parlava all’inizio, dopo un ventennio è doveroso tentare un rapido rendiconto per capire se e quanto le cose siano andate nella direzione prevista. In altri termini, si potrà ormai valutare se il progetto da cui si partiva avesse fondamento o se fosse soltanto qualcosa di campato per aria e in proposito il giudizio più chiaro sembra offerto da qualche novità lessicale che è venuta affermandosi. E ci riferiamo in specifico al termine stesso di “ludicità”. Quando nel 1992, nel presentare il progetto della rivista «Ludica» (di cui si dirà poi qualcosa) di nuovo scrivevamo e parlavamo di “ludicità”, non si pensava di usare un termine inesistente. L’idea di un universo ludico meritevole di una definizione specifica non era allora ovvia come davamo per scontato e molto presto abbiamo dovuto prendere atto di come la lingua italiana non riconoscesse (e ancora oggi ufficialmente non riconosca) il termine/concetto “ludicità”, tanto che nella loro implacabile fermezza i correttori automatici dei sistemi di scrittura informatici continuano ostinatamente a segnalarne l’uso come scorretto evidenziandolo in rosso. Ma ormai è entrato nella pratica e vi si ricorre sempre più spesso. Allo stesso modo, nelle traduzioni che impegnavano la redazione di «Ludica» ci si rendeva conto che il termine/concetto era – per così dire – ufficialmente inesistente pure in francese, o inglese, o spagnolo, o tedesco, o portoghese e via dicendo. Quando serviva, toccava volta per volta andare per approssimazione! Oggi, invece, si possono trovare usati anche dagli scrittori di madre lingua il portoghese ludicidade, o lo spagnolo ludicidad, o il francese ludicité, o (per la verità più a fatica) l’inglese ludicity e se l’uso è ancora piuttosto limitato agli scritti di storici, sociologi e antropologi, è facile prevedere che non tarderà molto nel trovare finalmente il suo legittimo posto in dizionari e vocabolari. Naturalmente non si pretende di avere “creato” un termine che sta conquistando crescenti spazi, ma certamente dalla Fondazione trevigiana è partita una spinta culturalmente decisiva al momento opportuno. Senza voler pretendere troppo, è confortante che si venga affermando un aspetto fondamentale dell'opzione da cui partivamo: che al di là dell’esistenza di tanti giochi, passatempi o diporti fisici o d’intelletto si dovesse tenere conto di un “sistema” o “universo” nel quale pratiche e comportamenti ludici ben individuabili nella loro specificità trovano un basilare raccordo, nel segno del generale bisogno di rilassamento e distensione che interessa tanto l’individuo quanto la società nel suo complesso. Questo comporta, fra l’altro, che la corretta analisi e gestione dei singoli fenomeni non possa prescindere dalla conoscenza della dimensione collettiva che si esprime compiutamente proprio nel concetto di ludicità.