“Creare in una città come Treviso...”
di Gaetano Cozzi
Una mattina di primavera del 1987, l’amico Tobia Scarpa mi aveva telefonato per chiedermi se poteva venire da me insieme a Luciano Benetton per parlarmi di una fondazione culturale. Il colloquio era stato quanto mai interessante.
Creare in una città come Treviso qualcosa che consentisse di integrare la sua straordinaria espansione economica con la promozione di attività culturali di alto livello, in modo da evitare quella divaricazione tra progresso economico e aggiornamento culturale che si verifica assai spesso, con conseguenze rovinose per l’identità e per l’essenza stessa di una città e del suo territorio: un intento che non poteva che piacermi, e avevo accettato con entusiasmo la proposta di collaborazione.
Bisognava comunque fare delle scelte, individuare settori ben definiti, in cui il nuovo centro avrebbe potuto svolgere la sua opera nel modo più efficace, di preferenza settori nuovi o rimasti sinora nell’ombra. Secondo Luciano Benetton un compito primario era il dedicarsi alla salvaguardia di monumenti storici trevigiani ridotti in precarie condizioni, d’intesa ovviamente con la pubblica autorità, che da sola aveva difficoltà a occuparsene: per esempio, il restauro di quanto ancora rimane della splendida cerchia muraria di Treviso, o del “barco della regina Cornaro”, che si staglia con il fascino dell’antica rovina all’orizzonte della prealpe e, anzitutto, della rocca di Asolo. In realtà, accordarsi con la pubblica autorità si rivelerà assai meno facile di quanto non si potesse prevedere. L’idea originaria offrirà comunque lo spunto per altre idee, realizzabili autonomamente e dirette alla conoscenza e alla tutela del patrimonio ambientale recante l’impronta dell’uomo, come i giardini, o angoli di paesaggio sfuggiti alla manomissione dell’uomo... Ma è meglio rinviare per tutto questo alle parole di chi ne è l’anima e il realizzatore, Domenico Luciani.
Tobia Scarpa aveva a sua volta ricordato che la “prima” Fondazione, costituita nel 1981, promuoveva la pratica degli sport. Si era deciso che sarebbe stato utile fare del gioco e dello sport l’oggetto di ricerche storiche, colmando così una lacuna della nostra storiografia, dovuta all’opinione, forse più forte da noi che altrove, che le attività ludiche fossero qualcosa di troppo frivolo perché se ne trattasse col rigore serioso che esige il vero studio storico. Bisognava domandarsi quale ruolo gioco e diporti avessero avuto dall’antichità a oggi in seno alle varie civiltà e culture, quale rilevanza avessero significato per la vita politica, religiosa, culturale, quali opposizioni, e per quali ragioni, si fossero sollevate contro la loro pratica. Anche qui è bene rinviare a chi ha dato realtà alla semplice proposta iniziale, ossia a Gherardo Ortalli, per sapere cosa è stato fatto e quali risultati si siano conseguiti.
Era apparso inoltre indispensabile che una nuova istituzione culturale, espressione dell’attuale rigoglio della terra veneta, dovesse ripiegarsi sul suo passato, quello lontano e quello vicino, indagandone la storia, ritrovandone il volto antico, onde farne uno strumento di arricchimento della sua realtà odierna. Non si poteva non cominciare dall’agricoltura: l’agricoltura, che è rimasta fino a pochi decenni fa l’attività preminente del Veneto, dando al paesaggio il suo profilo e impronta a consuetudini, espressioni devozionali, concezioni di vita. L’attività scientifica della Fondazione si è aperta con lo sguardo alla terra, e a villaggi, paesi, cittadine che della terra vivevano. Danilo Gasparini, già affermatosi come studioso e organizzatore di studi sul Trevigiano, appartenente alla generazione che ha suscitato il fiorire della storia locale veneta, aveva subito proposto il tema per una ambiziosissima ricerca abbracciante tutto questo territorio, uno spazio di 200.000 ettari, comprendente cinquecento tra centri urbani e comunità rurali: in pratica, valendosi dell’esistenza di estimi redatti per ciascuna delle diciassette aree politico-amministrative in cui esso si articolava e di altre fonti archivistiche omogenee, si intendeva mettere a fuoco, sfruttando in particolare la possibilità di un’analisi comparativa e l’uso di strumenti offerti dall’informatica, quali fossero la densità demografica e le ripartizioni sociali, gli assetti produttivi e le forme di conduzione, i mutamenti delle tecniche di coltivazione, la variazione delle colture. I risultati di questa ricerca sulle Campagne trevigiane in età moderna sono in parte editi, altri in corso di stampa o in stato di ormai avanzata preparazione. E proprio in corrispondenza agli scopi ideali di questo centro, che indicheremo d’ora in poi con il nome assunto in tempi recenti, Fondazione Benetton Studi Ricerche, la ricerca ha svolto il ruolo di una vera e propria scuola per coloro che vi hanno partecipato, in virtù della generosità e della passione di studiosi che pur non avevano rapporti istituzionali con la Fondazione: parlo di Gigi Corazzol e di quel grande maestro e pioniere della storia dell’agricoltura veneta che è stato Marino Berengo.
Un’altra grande ricerca di storia veneta, iniziata nell’ambito della Fondazione quando la precedente stava per concludersi, è quella che affronta una vicenda straordinaria, che ha per protagonista ancora la campagna, vicenda tutta intrisa di dolore e di speranza, coinvolgente centinaia di migliaia di persone: l’emigrazione tra Ottocento e Novecento. Essa è stata per così dire introdotta dalla pubblicazione, a cura della Fondazione Benetton, del libro di Francesca Meneghetti-Casarin, Treviso-Genova andata e ritorno. Gli albori dell’emigrazione transoceanica e l’inchiesta dell’Ateneo di Treviso (1876-1878). Superfluo farne l’elogio, ne è ora in corso in Brasile l’edizione in portoghese.
Nuova ricerca pertanto, o meglio due nuove ricerche, accomunate dallo stesso argomento, ma distinte per ambito cronologico, e per problemi, metodi, obiettivi di indagine. La prima, conclusa, ha abbracciato la prima metà del Novecento, e ha riguardato un territorio di pianura assai prossimo a Treviso, Fossalunga di Vedelago; l’altra la Prealpe feltrina, più precisamente quel suo angolo estremo, al confine col Vicentino, che è la zona di Seren del Grappa. Quella che potremmo chiamar trevigiana, ossia Emigrare da Fossalunga, condotta da Luca Pes, Michele Simonetto e Livio Vanzetto (voluto coordinatore), ha individuato i caratteri dell’emigrazione locale permanente e temporanea (tipo, durata, movimenti, cause... ) avvalendosi, oltre che di documenti conservati da privati o in archivi pubblici, di interviste a persone che sono state direttamente o indirettamente coinvolte da vicende emigratorie. I risultati della ricerca sono ora raccolti nel volume della Fondazione, a cura di Livio Vanzetto, Emigrare da Fossalunga.
Il Veneto oltre l’Oceano, così si è intitolata la seconda ricerca, è molto più ampia e ambiziosa della precedente, e ha soprattutto un elemento distintivo, l’interdisciplinarità, ritenuta indispensabile per penetrare nella realtà sociale e umana da noi scelta muovendo da varie angolature, individuandone più a fondo i problemi pratici e gli aspetti umani. Daniela Perco, che è la coordinatrice di questa grande impresa, e Giuliana Sellan, la affrontano, seppur per vie diverse, dal punto di vista antropologico, Annmaria Bagatella Seno da quello della cultura materiale, Loredana Corrà da quello linguistico, mentre Francesco De Melis ha avuto il compito di fornire la documentazione fotografica e filmica, nonché etnomusicale, della continuità di una cultura e di modi di vivere. Quanto a Daniele Gazzi e ad Andrea Zannini, a loro tocca tracciare il quadro storico in cui la nostra vicenda si situa, fornendo le linee essenziali, demografiche, economiche e sociali. Una ricerca bipolare, aggiungiamo, perché condotta anzitutto a Seren e dintorni, per individuare le coordinate di questa terra di emigranti nel periodo delle partenze, e poi, nei luoghi di arrivo, in particolare la colonia di Caxias do Sul nello stato brasiliano di Rio Grande do Sul, per analizzare come si sia avviata la loro nuova esistenza, e cosa sia rimasto, a distanza di varie generazioni, di quel bagaglio di cultura e di fede religiosa, di consuetudini e di lingua, che i partenti avevano recato con loro. Ricerca, concludiamo, che si è rivelata più laboriosa del previsto, ma insieme ricca di risultati di estremo interesse, in gran parte inattesi: è in corso da parte dei vari collaboratori la redazione dei saggi che ne raccoglieranno i frutti.
Accanto, o a corollario di queste grandi ricerche la Fondazione ne ha promosse altre, pur di carattere storico, ma svolte individualmente, e in tempi più brevi. Claudio Azzara si è occupato delle origini di Venezia, trattandone poi in una monografia della Fondazione, nella collana “Studi veneti” col titolo Venetiae. Determinazione di un’area regionale fra antichità e alto medioevo.
A Sergio Zamperetti, che nella stessa collana ha già pubblicato un volume dal titolo I piccoli principi. Signorie locali, feudi e comunità soggette nello Stato regionale veneto dall’espansione territoriale ai primi decenni del ’600, è stata offerta la possibilità di dedicarsi a una ricerca su feudi e signorie nel Dominio veneto di terraferma, che è un completamento dell’antecedente. Non dissimile è il caso di Alfredo Viggiano, di cui è già uscita nella nostra collana la grossa opera Governanti e governati. Legittimità del potere ed esercizio dell’autorità sovrana nello Stato veneto della prima età moderna, che sta portando a conclusione un’indagine su potere, giustizia, amministrazione nei Dipartimenti veneti tra Regno d’Italia napoleonico ed età della Restaurazione, problemi analoghi, dunque, in un contesto storico del tutto diverso. Altrettanto si può dire per Anna Pizzati, che dopo aver partecipato alla ricerca sulle campagne, concludendola con un libro su Conegliano. Una “quasi città” e il suo territorio nel secolo XVI, ha avuto dalla Fondazione l’incarico di studiare per tutto il Trevigiano la questione delle proprietà e delle istituzioni ecclesiastiche nei secoli XVI e XVII: è una dimostrazione dell’interesse che la Fondazione intende riserbare al grande tema delle “campagne”, destinato a restare, integrato ormai con quello dei giardini e del paesaggio, uno degli assi portanti dell’attività di studi e di ricerche della Fondazione.
Occorre aggiungere che la collana editoriale “Studi veneti” non annovera solo i frutti delle nostre ricerche, ma anche opere preparate in altre sedi, pur concernenti il Veneto e di vasto respiro storico: si pensi a L’oro dello Stato. Società, finanza e fisco nella Repubblica veneta del secondo ’500, di Luciano Pezzolo, e a L’arte matrice. I lanifici della Repubblica di Venezia nei secoli XVII e XVIII, di Walter Panciera.
Per finire, nella primavera del 1996 si è svolto nell’ambito della Fondazione un convegno sull’infanzia abbandonata nel Triveneto, cui s’è voluto dare un titolo che esprimesse tutto l’intreccio di dolore umano e di dramma sociale che ne era essenza: Benedetto chi ti porta, maledetto chi ti manda. L’ha proposto e poi organizzato Casimira Grandi, una sociologa veneziana docente all’Università di Trento. La Fondazione non si è limitata ad assumersene il carico e a pubblicarne gli atti, nel 1997, ma ha voluto offrire un suo diretto contributo ai lavori facendo svolgere da una giovane studiosa, Pisana Visconti di Oleggio, una ricerca su un tema mai affrontato, l’ospitalità offerta agli esposti dall’ospedale di Santa Maria dei Battuti di Treviso nel corso dell’Ottocento.