Dopo la modernità: governare la transizione dei paesaggi strappati
La lunga storia dei luoghi trova nell’età industriale una discontinuità.
L’uomo aveva sempre usato il territorio circostante, traendo da esso ogni possibile risorsa per l’insediamento, la produzione e la circolazione, con tempi e modi tali da non degradare il patrimonio naturale disponibile e da non depauperare il patrimonio culturale via via accumulato.
Con l’avvento del moderno, i mezzi e i parametri quantitativi dell’uso divengono inconfrontabili con quelli precedenti, arrivando a produrre, nell'ambiente fisico, consumo di luogo, degrado d'ambiente, strappo, ferita irreversibile di territorio.
Si tratta oggi di governare la transizione dei luoghi feriti verso “altri” luoghi corrispondenti ad “altre” antropologie, inedite culture, rinnovate comunità.
La forma e la vita possibile dei paesaggi, dopo lo strappo, non potrà mai tornare allo stato precedente ma potrà essere immaginata solo a partire dalla conoscenza della storia e della geografia prima dello strappo.
L’invenzione nasce dalla memoria. L’invenzione senza memoria è solo una ulteriore discontinuità, ancora uno strappo.
Allora, se è vero che il paesaggio è, come vuole la convenzione europea, ambito di spazio fisico così come viene percepito (e dunque governato) dalla comunità che vi è insediata, dobbiamo pensare alla transizione innanzitutto come a un processo che modifica idee e cose, del quale le popolazioni, mentre ne sono coinvolte, divengono pienamente responsabili.
mercoledì 8 settembre 2004
Inventare il paesaggio-scoprire la storia e ricercare strategie