Il gioco e la guerra nel secondo millennioseminario pubblicoIl gioco e la guerra s’incontrano e si contrappongono su piani assai diversi, che questo seminario ha esplorato, pur nel rispetto delle loro specificità e logiche interne, in una prospettiva complessiva.
Il gioco si pone in un rapporto ambiguo con la guerra, ne può costituire a seconda dei casi un’alternativa o una preparazione. Talvolta il confine tra i due ambiti è quanto mai mobile.
Si pensi al «grande giuoco» dello spionaggio nell’India di Kim oppure al “gioco” della diplomazia, delle relazioni internazionali, “giochi” che possono tanto avvicinare quanto allontanare la guerra. Ambiguo, per un altro verso, anche lo statuto di quelli che oggi consideriamo i giochi per eccellenza, i giochi olimpici, competizioni che appartengono al tempo di pace, ma che possono anche rappresentare, al pari di altri sport di massa, un tipo di «war without arms».
Peraltro alcuni giochi, che nascono con evidenti finalità di esercizio militare, possono perdere con il tempo tale carattere: dalla corsa con le bighe alla regata e al pentathlon moderno gli esempi di tale evoluzione sono numerosi. Talvolta il gioco ripete, codificandola e stilizzandola, la guerra, un percorso che può condurre dagli scacchi alle simulazioni dei conflitti. La stessa guerra può apparire un tipo particolare di gioco, un «brutto giuoco», ma anche, nella misura in cui accentua la dimensione mitica, esalta il caso e deresponsabilizza chi vi prende parte, un’esperienza psicologicamente simile a quella ludica. |
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Fondazione Benetton Studi Ricerche
/ en.fbsr.it stampa del 23 novembre 2024
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