Le indagini e le proposte per il Barco Cornaro hanno caratterizzato gli inizi del lavoro scientifico della Fondazione. Nei quattro anni 1988-1991, l’impegno di tutta la struttura è stato affiancato da un comitato internazionale di consulenti, con Carlo Bertelli, Gianpietro Brogiolo, Laura e Paolo Mora, Ursula Schädler e Wolfgang Wolters. Fabio Lombardo, Afra e Tobia Scarpa hanno immaginato un recupero degli immobili. Domenico Luciani e Lionello Puppi hanno delineato la vita in situ di un centro studi paesaggistici. Sono arrivati riconoscimenti (Premio Mazzotti 1991), seminari europei (Clisson, 1992), esposizioni (Centro Studi Palladio a Vicenza, 1994), il FAI gli ha dedicato una giornata nel 1995, ma la Provincia di Treviso, proprietaria della parte centrale del compendio, già nel 1992 aveva bloccato il tentativo di “Ritrovare il Barco”.
Tracce e indizi di un giardino umanistico veneto scomparso Ai piedi delle colline asolane, appare un grande spazio aperto rettangolare, lungo più di un chilometro e largo circa mezzo, ove è visibile un manufatto superstite lungo circa 120 metri, che comprende stanze e logge decorate (circa mille metri quadrati di affreschi esterni e interni) e opere lapidee di notevole qualità. L’insieme rinvia chiaramente all’età umanistica e al linguaggio elaborato da un gruppo di maestri lombardi. Anche le grandi finestre crociate, rimaste nella lunga facciata di questo edificio superstite, sono senza dubbio di matrice lombardesca. Negli affreschi sono stati scoperti ben tre strati, con soggetti sacri e profani, cristiani e pagani molto diversi. Nell’ampio spazio recintato sono ancora riconoscibili i segni della centuriazione romana e della struttura idraulica, in particolare l’arrivo, all’angolo nordest del rettangolo, del canale artificiale della Brentella, costruito da Venezia nel corso del XV secolo, rinnovato nel 1507 con l’intervento diretto di fra Giocondo da Verona, in quel momento il maggior esperto veneto di arte militare e idraulica.
Nell’ampia letteratura disponibile, per lo più attinente alla figura della committente, Caterina Cornaro (1454-1510), ex regina di Cipro esiliata ad Asolo, mancavano indagini su questo grande enigmatico spazio aperto rettangolare. L’eccezionalità del sito era stata già delineata (PUPPI 1962, KOLB 1977, PIOVESAN 1980). Kolb, nella sua ricerca incentrata sul castello Giustinian di Roncade, aveva intuito che lo spazio del barco era costruito su un sistema fondato sull’actus, la cui misura di 35,5 metri (120 piedi, un piede circa 30 centimetri) costituisce il modulo base di tutto l’impianto territoriale, connotato dal graticolato stradale perpendicolare del I secolo a.C., formato da quadrati il cui lato è di circa 745 metri (21 actus = 21 x 35,5 metri). Le indagini condotte dal 1988 al 1991 (LUCIANI 1991) hanno rivelato tre recinti concentrici: all’interno del grande rettangolo, chiuso da un muro, un giardino circondato da torri e da edifici (di cui il manufatto superstite costituisce la metà dell’ala est), un’area dominicale interna, definita per tre lati da un muro e nel lato nord da una peschiera.
Ci siamo chiesti attraverso quali vie questo triplice modello territoriale e architettonico fosse giunto fino a Caterina Cornaro che, dopo il suo arrivo da Cipro nel 1489, con gli ottomila ducati annui assicurati dalla Repubblica e con uno status regale, aveva deciso di costruire la sua casa di villa a mo’ di barco.
La serie storica di carte topografiche e catastali, le indagini aerofotogrammetriche, i sondaggi geoelettrici, i riscontri stratigrafici (SCHÄDLER-SAUB 1994) e archeologici (LUCIANI 1991) contribuiscono tutti a illuminare le fonti dei Cornaro.
I fratelli Giorgio e Caterina scelsero questo sito: a. perché l’abbondanza d’acqua ne faceva un luogo particolarmente adatto alla creazione di un grande giardino; b. perché le strade romane lo rendevano accessibile; c. perché una preesistenza (castrum) offriva il sito per una “casa di villa” fortificata e sicura (FARRONATO 1984 e 1988).
Nonostante il lavoro (ANDERSON 1973 e 1974) che aveva suggerito il nome del lombardo Francesco Grazioli come architetto, restava oscura la fonte del modello. Antonio Colbertaldo, lo storico quasi coevo e assai vicino ai Cornaro, nella sua biografia di Caterina scriveva di un “barco” veduto dal fratello Giorgio vicino a Pavia.
Siamo così condotti alla “Sforzesca”, grande insediamento agricolo e di caccia voluto dagli Sforza a sud di Vigevano, dove è ancora leggibile una lapide dettata dall’umanista veneziano Ermolao Barbaro nel 1486; e possiamo confermare i forti e noti collegamenti tra i due ambienti culturali, in particolare tra i Cornaro e gli Sforza, e dunque l’ipotesi “lombarda”. E se è vero che la parola barco è presente nella lingua veneta, e che lo stesso Sanudo il Giovane la usa nel suo Itinerario in terraferma del 1486 ben cinque volte, occorre risalire all’architetto umanista più rappresentativo dell’ambiente lombardo in quel torno di tempo, per trovare un legame preciso tra quella parola e quella specifica triplice tipologia di parco-giardino-casa. Nel Trattato di architettura di Antonio Averlino, il Filarete, composto intorno al 1464, nel libro XX (cc. 162 e 163, in particolare c. 163v), troviamo chiaramente descritta questa tipologia di casa di villa nominata barco. Ma, come ha suggerito Liliana Grassi, le tracce del Filarete non si fermano a Vigevano. Esse portano molto più lontano, almeno fino al fiume Indo.
(Brano tratto dall’intervento di Domenico Luciani al seminario “De Italia in hortis”, La Garenne Lemot, 19-20 giugno 1992.)