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la Fondazione per

Civiltà dell’acqua

innovazione e conservazione nella geografia pluricentrica e nella storia di lunga durata


La prima attiene alla storia di lunga durata del rapporto tra l’uomo e l’acqua. Questo rapporto è sempre stato, con l’eccezione degli ultimi due secoli, un rapporto che rende indistinguibili la sfera fisica della tecnica e la sfera metafisica del sacro. Il luogo dell’acqua non è mai vissuto o immaginato come luogo della pura funzionalità; è sempre costituito e percepito come spazio o forma ad alto contenuto di cultura materiale e ad alta tensione spirituale. Sempre più largamente emerge che gli artifici costruiti assumono contemporaneamente il ruolo di patrimonio culturale e il compito di utilità idraulica. A questo proposito sono di notevole interesse le ipotesi relative al singolare fenomeno dei nuraghi della Sardegna. Nuovi riscontri archeologici permettono di ampliare la gamma di forme e di oggetti, allineamenti, muri a secco, tumuli, finora ritenuti esclusivamente allestimenti ierofanici o astrologici e che invece appaiono anche accorgimenti per captare e trattenere l’acqua. I fossati ipogei che chiudono gli insediamenti, ad esempio, ritenuti esclusivamente opere di difesa della comunità, appaiono in molteplici condizioni storiche e geografiche anche come bacini d’acqua che assorbono le piene, riserve per i periodi di siccità, segni di identificazione della forma insediativa.

Una seconda riflessione attiene al “circolo vizioso” secondo il quale il degrado delle condizioni di vita è la causa cruciale dello stesso degrado ambientale. Il parametro “povertà” sarebbe così contemporaneamente causa ed effetto del degrado umano e ambientale. Questa visione sempre più appare miope (quando non interessata). Essa stabilisce un modello universale di sviluppo e fissa i parametri di ricchezza ai quali ogni civilizzazione, indipendentemente dalla propria identità storica geografica religiosa etnolinguistica, dovrebbe omologarsi in una sorta di tendenziale unificazione delle civiltà. Non intendo proporre un “ritorno al mito delle origini” o cantare la felicità candida del buon selvaggio. Intendo trasmettere qui le ragioni di una ampia ricerca e di una molteplice sperimentazione già in corso nel mondo con un metodo olistico e multidisciplinare, in un numero significativo di situazioni con un obiettivo diverso: uno sviluppo endogeno durevole nel tempo e nello spazio; un processo che fa leva sulle conoscenze tradizionali come sistema dinamico che incorpora l’innovazione.

La terza riflessione su queste sperimentazioni ci mostra come conoscenze tradizionali, culture materiali, tecniche siano non solo una eredità culturale da conoscere e salvaguardare (ampliando le ricerche, raccogliendo la documentazione, restaurando i manufatti), ma siano anche, e ancor prima, una risorsa per il futuro, un’opportunità. La memoria della civiltà dell’acqua è, insomma, una necessità. Salvaguardarle e valorizzarle è dunque un’opzione politica culturalmente lungimirante e socialmente utile.


 

Relazione tenuta da Domenico Luciani, allora presidente del Centro Internazionale Civiltà dell’Acqua, in occasione dell’incontro internazionale La Question de l’Eau, 18 novembre 2001, organizzato da Le Monde Diplomatique, Tours.

 
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