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Appunti sul governo del paesaggio

di Domenico Luciani


Ancora più attento dovrebbe essere il controllo del governatore sulla qualità dei progetti, delle opere e dei materiali, fino ai dettagli. La sfera delle arti e delle tecniche, degli interventi operativi, degli impianti vegetali, delle opere idrauliche, architettoniche, artistiche e artigianali è esposta a pressioni commerciali che offrono facili quanto illusorie soluzioni a problemi complessi, per mezzo di innovazioni solo apparentemente razionali. Il dialogo con le arti e con le tecniche si presenta continuamente come problema di spessore culturale e di stile, come “questione del gusto”.

 

Non si insisterà mai abbastanza sull’importanza della presenza umana ininterrotta e amorevole per la qualità e per la vita stessa del luogo; sulla manutenzione come pratica quotidiana continua; sulla cura esecutiva dei tanti piccoli provvedimenti di rinnovo (non esiste il “restauro del paesaggio”) derivati dalla visione generale e dalle opzioni gestionali, scientifiche e tecnico/artistiche, programmati negli anni, distribuiti con ordine nell’agenda dei giorni e delle stagioni. 


Non si deve confondere manutenzione con governo, che è determinazione di criteri, di vincoli, di regole d’uso, di limiti alla trasformazione; e che comporta responsabilità etica e politica prima ancora che culturale e scientifica. Insomma l’auctoritas del governatore dovrebbe poter coordinare l’intero ciclo di pensieri e di atti, rifuggendo da ogni fenomeno effimero o ricerca d’effetto, e trovando il suo difficile parametro nella lunga durata; ricercando, anche per mezzo di atti creativi, un equilibrio tra conservazione e innovazione in condizioni di continua mobilità del gusto e di permanente trasformazione del ruolo che la natura e la memoria esercitano nelle diverse civilizzazioni e fasi storiche.

La transizione dall’idea di tutela del paesaggio come vincolo all’idea di salvaguardia e valorizzazione della “identità” e della “autenticità” come guida attiva delle modificazioni, appare la conquista più difficile e più importante di questi anni. È una conquista che prende atto della inarrestabilità delle modificazioni della forma e della vita dei luoghi, e accetta il compito di indirizzarle verso nuove forme e nuove vite future, così da conservarne i caratteri fondativi, i tratti fisiognomici connotanti. Governare le modificazioni permanenti e inarrestabili è necessario in ogni luogo, non solo nei luoghi di speciale intensità inventiva o densità storica o fascinazione percettiva.
La necessità di governo del paesaggio riguarda tutti i paesaggi. Forse, in questa fase storica di critica della modernità, si rivolge ancor più ai paesaggi ordinari, feriti, degradati. E anche nei luoghi che prendono forma da un pensiero e da un gesto inventivo unitario non pone al centro o in discussione il talento dell’inventore, ma la sapienza e la continuità di una guida che riesca a far vivere nel tempo quella stessa invenzione, a ritrovarla, a rinnovarla continuamente, facendola rimanere se stessa, in tensione tra innovazione e conservazione. Questa tensione è, a sua volta, in tutti i luoghi, risultato di una lotta permanente, nel tempo, tra le forze che spingono alla rovina e le forze che spingono all’elevazione. Sono gli stessi caratteri della natura e degli artifici culturali che tendono, contemporaneamente, da una parte a perdere forma e dall’altra a ritrovarla, da una parte a degradare la vita e dall’altra a rinnovarla. Così, la tensione tra innovazione e conservazione presenta esiti diversi in ogni luogo e in ogni momento; e in ogni momento e in ogni luogo qualcuno, una comunità, una persona, un’istituzione, ne porta la responsabilità.

 


 
 
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