Maredolce-La Favara, Palermo

Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino
XXVI edizione, 2015


Motivazione

Il Comitato scientifico della Fondazione Benetton Studi Ricerche ha deciso, all’unanimità, di dedicare la ventiseiesima edizione del Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino a Maredolce-La Favara, un luogo che nel cuore del quartiere Brancaccio di Palermo conserva la memoria e le testimonianze tangibili di ciò che è stato il paesaggio nella civiltà araba e normanna in Sicilia, nel quadro più ampio di quel territorio che nella storia prenderà il nome di “Conca d’Oro”, e che nel corso delle trasformazioni recenti ha visto offuscarsi, se non addirittura dissolversi, il proprio carattere distintivo.

Maredolce-La Favara si presenta oggi come una vasta depressione del terreno, che è stata in passato un grande bacino, con al centro un’isola di forma irregolare ancora ben riconoscibile e un magnifico palazzo posto tra il bordo di questa cavità e le schiere di case costruite nel tempo a ridosso del suo perimetro, a nord-ovest; al suo interno, in un ambito di circa venticinque ettari, si sviluppa un sistema complesso di manufatti, congegni idraulici e un vasto agrumeto. Segni che raccontano la condizione di grande spazio coltivato vissuta sin dalle sue origini.

Il luogo è stato presidio della città per chi giungeva per mare o per terra dalla costa tirrenica e area di colture agricole di pregio, dopo che le acque di una sorgente, nate dal piede di una montagna, furono regolate e qui convogliate. Chiamato Favara nel X secolo, nome arabo che dice di acque che sorgono abbondanti, e Maredolce dal XIV secolo, a celebrare la straordinarietà di un “lago” talmente grande da misurarsi con il vicino mare, è stato oggetto di insediamenti romani, arabi e normanni. Ha visto il disordine di sorgenti e paludi trasformarsi nell’ordine di campagne coltivate con tecniche di irrigazione che coniugano l’antica sapienza idraulica romana con le innovazioni portate dalla rivoluzione agricola araba. Giardini di palme e di agrumi, estese colture di canna da zucchero, vigneti e oliveti, alimentati da un grande bacino, con un’isola al centro celebrata da poeti e viaggiatori, arabi e normanni. Sede di una dimora reale, chiamata “sollazzo” da Ruggero II, il sovrano che trasformò il luogo, a indicare non solo il diletto del giardino, dell’acqua o della caccia, ma anche quello che proviene dall’incontro tra culture diverse – bizantina, araba, normanna – nell’architettura, negli stili di vita e nel paesaggio, nel confronto di idee con i sapienti del tempo. Tutto questo a Palermo, nella grande isola al centro del Mediterraneo, luogo d’incontro tra le diversità biologiche e culturali di tre continenti.

Per tali ragioni questo luogo, frutto di un processo di lunga durata, testimonia il valore di una cultura del paesaggio e l’urgenza di riconoscerne il ruolo nel nostro tempo: in relazione alle testimonianze storiche evidenti nei manufatti e nella sua configurazione, ma anche alla presenza imprescindibile di un grande spazio aperto – il “giardino” della Favara e Maredolce – che insieme alle pietre, alle acque e agli artifici dell’uomo, esprime oggi il valore della cura e del governo responsabile da parte delle istituzioni e quello della comunità che trova qui il senso di appartenenza a un paesaggio oltraggiato.

Compreso tra alte cortine di edifici che ne alterano l’immagine, il bordo di un’autostrada e il muro di confine dell’agrumeto, questo luogo appare dunque prodigiosamente sopravvissuto alle molte azioni che hanno più volte attaccato l’equilibrio millenario di un paesaggio agricolo e la dignità di una vita urbana che il quartiere Brancaccio, a sud della città, ancora oggi in diversi modi manifesta. Per molto tempo dimenticato nella descrizione topografica, sfigurato nella sua riconoscibilità, scomparso nella percezione degli abitanti, Maredolce sembra resistere, dentro un perimetro scomposto, che convive con l’indifferenza della città che lo comprime, ne colonizza i profili, erode i punti di connessione vitale.

 

Come la testa di un cuneo che si fa spazio nel groviglio di vecchie e nuove strade, ai margini di una città che è arrivata a lambire i suoi confini, riconosciamo in questo luogo l’avamposto di uno stretto ventaglio di paesaggi superstiti che, oltre il fiume Oreto, disegna verso sud, tra le pendici del monte Grifone, le strade di Ciaculli e la costa, un mirabile mosaico di paesaggi coltivati, residuo ultimo della Conca d’Oro, concatenazione di terreni curati dall’uomo che qui prendono il nome di “giardino”.

Dopo gli anni della sua creazione, nelle forme che Ruggero II gli diede nella prima metà del XII secolo e una fase di trasformazioni nell’uso e nella proprietà, accompagnata da un progressivo diminuire delle acque originate dalla Favara, Maredolce sopravvive in tempi recenti alle sue peggiori vicende, che hanno visto la manomissione dei suoi spazi superstiti e l’erosione del suo contesto vitale. Il bacino e l’isola, divenuti nel tempo terra coltivata, si saldano verso sud-est con il mondo ancora presente degli agrumeti di disegno ottocentesco. Nell’arco della seconda metà del secolo XX, il luogo sarà risucchiato dall’espansione della città e avvolto nel silenzio. Nel palazzo e nel suo intorno, gli spazi e le testimonianze ancora presenti sono stati di recente oggetto di indagine storica e di restauro, di cure e attenzioni da parte di molti. Maredolce inizia a svelarsi agli occhi degli abitanti come un luogo nel quale riconoscere il passo della propria cultura, una ritrovata attitudine verso il paesaggio, una prospettiva di futuro.

Quello che oggi vediamo – gli spazi ritrovati, le mura consolidate e le architetture restaurate, i brani rinvenuti dagli archeologi, gli studi eseguiti – ci appaiono un invito a proseguire il lavoro di indagine e di studio, soprattutto in direzione di una comprensione unitaria del luogo, del suo valore e delle relazioni con le testimonianze che appartengono alla sua collocazione culturale, alla sua vita oggi. Relazioni che rinviano all’insieme delle architetture arabo-normanne e di ciò che rimane dei loro giardini nell’ambito palermitano e al sistema più vasto e disperso degli agrumeti, relazioni che appartengono al mondo di analoghe testimonianze che la cultura araba ci ha lasciato. E tra queste, l’Agdal di Marrakech, il luogo al quale, nel 2000, è stata dedicata l’undicesima edizione del Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino.

In questo paesaggio confluiscono i segni della storia e gli indizi di cambiamento che provengono da un ambiente sociale “condannato” a un giudizio spietato: Ciaculli e Brancaccio, quartieri segnati da terribili storie, la “mafia dei giardini”, le raffinerie di eroina, ma anche gli eroi del riscatto come don Pino Puglisi. Il Premio guarda a una possibile riconciliazione tra la vita di un quartiere e una lungimirante visione di una città che in questa parte del suo territorio riconosca i segnali di una pacificazione tra le contraddizioni di uno sviluppo recente e la presenza viva dei suoi paesaggi superstiti. Guarda a ciò che rimane del paesaggio della Conca d’Oro. Alle città mediterranee – Palermo ne è simbolo riconosciuto – che non possono cedere altro terreno al cemento. Guarda all’incontro tra le diversità che si sono manifestate a Maredolce come un’opportunità di riproporre l’incontro proficuo tra nature e culture che ha fatto grande la storia del “mare tra le terre”.

Sulle stesse rive di questo mare, nella stessa isola, la decima edizione del Premio Carlo Scarpa, nel 1999, ha posto al centro delle sue attenzioni un luogo, le Cave di Cusa, e un testimone, Vincenzo Tusa, che insieme esprimono il senso e il valore di un lavoro culturale e di un impegno civile, che ancora oggi, a Palermo, sono al centro del nostro lavoro.

L’attuale condizione di Maredolce, prezioso frammento di un mosaico perduto, silenzioso testimone di una cultura antichissima, attende di essere riconosciuta e collocata in un contesto più ampio che esprima tutta la sua forza, ritrovando il legame tra ciò che si è salvato, quello che ancora riemergerà, e la vita non più indifferente di una comunità che si muove attorno a questo luogo.

Emerge, tra i soggetti oggi impegnati per Maredolce-La Favara, il gruppo di lavoro della Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Palermo, sotto la guida di Maria Elena Volpes, al quale il Comitato scientifico della Fondazione si rivolge con un sentimento di profonda riconoscenza per il valore della sua esperienza e per l’impegno costante, e decide di affidare al suo coordinatore, Lina Bellanca, il sigillo di Carlo Scarpa, come espressione di un sentimento di vicinanza e sostegno a tutte quelle figure che, in campi diversi, testimoniano con il proprio lavoro, in un contesto urbano e sociale non facile, l’importanza di un bene collettivo del quale appare necessario continuare a prendersi cura e difendere la ricchezza di significati e diversità che esso continua a trasmettere.

iniziative pubbliche

agosto-novembre 2015

nuovi appuntamenti

venerdì 8 maggio 2015 ore 18

inaugurazione della mostra dedicata alla XXVI edizione

Treviso, spazi Bomben

 

sabato 9 maggio 2015 ore 9.30

seminario sul luogo designato

Treviso, spazi Bomben

 

sabato 9 maggio 2015 ore 17

cerimonia pubblica di consegna del Premio

Treviso, Teatro Comunale

 

pubblicazione

Maredolce-La Favara

dossier 2015

quaderno in italiano e inglese distribuito fuori commercio, Fondazione Benetton Studi Ricerche, Treviso 2015, 16 pp., 42 ill. (pdf, 1,3 MB)

9 maggio - 5 luglio 2015

mostra dedicata alla XXVI edizione

Treviso, spazi Bomben

Fondazione Benetton Studi Ricerche
/ en.fbsr.it stampa del 1 settembre 2024