L’Agdal di MarrakechPremio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino |
Motivazione della giuria
La giuria del Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino ha deciso all’unanimità di dedicare l’undicesima edizione all’Agdal di Marrakech, Marocco.
È un riconoscimento che intende rivolgersi innanzitutto ai caratteri peculiari fondativi e ancora interamente leggibili di questo grande giardino, orto e frutteto rettangolare (440 ettari), recintato e ordinato geometricamente nel modo più chiaro da moduli quadrati che articolano gli spazi coltivati con alberi di specie diverse, secondo un disegno che, provenendo dalla Mesopotamia dell’VIII secolo a.C. e passando poi in Persia, si è diffuso in tutta l’area islamica, fino a entrare profondamente nella penisola iberica.
La costruzione dell’Agdal risale al 1157, allorché Marrakech, fondata quasi un secolo prima come capitale dell’impero degli Almoravidi, diviene capitale dell’impero degli Almohadi, etnia berbera che domina dal Niger alla Tunisia, dalle coste libiche fino al Tago.
Fonti del XVI secolo registrano, al suo interno, più di 66.000 alberi da frutto, circa la metà dei quali agrumi e l’altra metà di varie specie, tra le quali melograni, pruni, viti, ulivi, fichi, peschi, gelsi, albicocchi, peri, mandorli e giuggioli. Ancora nel 1916, all’inizio del Protettorato francese, vengono catalogati 51.000 alberi da frutto, in maggioranza ulivi.
Il riconoscimento intende segnalare altresì il ruolo dell’Agdal nella definizione originaria e nella persistenza millenaria della forma urbis. La medina di Marrakech, a sua volta dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità, costituisce con l’Agdal un'unità inscindibile, difesa da un’unica cinta muraria, poderosa e continua lungo un perimetro di 10 chilometri. Ma a loro volta, la città e il suo mirabile giardino, gli abitanti e le coltivazioni, vivono insieme grazie a un artificio a scala territoriale che li ha resi storicamente e geograficamente possibili, in un ambito fisico che prende il nome di Haouz di Marrakech, un’area di centinaia di chilometri quadrati nella quale l’“acqua nascosta” è captata, a partire dalla metà dell’XI secolo, dalle falde freatiche che scendono dall’Atlante e dalle precipitazioni atmosferiche, per mezzo di oltre cinquecento condotte sotterranee, khettara, per una lunghezza complessiva stimata di circa 700 chilometri, scavate manualmente per mezzo di almeno 70.000 pozzi. Per oltre un secolo, dalla metà dell’XI alla metà del XII, il sistema arrivava a fornire 3.200 litri al secondo, costituendo così la base indispensabile per l’insediamento della città imperiale. Dalla metà del XII secolo il sistema ad “acqua nascosta” è stato poi affiancato con un sistema di canali a cielo aperto di “acqua visibile”.
È a questo artificio, stupefacente per sapienza e per estensione, che la giuria rivolge un’attenzione del tutto particolare, decidendo di indirizzare il contributo finanziario disponibile a nuovi studi e ricerche in questa direzione, e cercando così di richiamare attorno a questo patrimonio l’attenzione e la responsabilità della comunità internazionale.
L’Agdal è il luogo nel quale appare in sintesi il mirabile risultato della storia e della geografia dell’Haouz. Dentro l’Agdal, negli specchi rettangolari dei bacini Dar al-Hanâ e al-Ghrsiyya – così come in quello della Ménara –, nei quali si riflette il profilo bianco della montagna e la forma esplosa delle palme, la scienza la tecnica e la cultura della originaria civilizzazione islamica appaiono capaci di trasformare la severità del clima e l’asprezza della natura in una rigogliosa e utile bellezza. L’immagine di questo specchio d’acqua sopraelevata che convoca il cielo e lo attira verso la terra, trasmette infatti un duplice significato. Da una parte l’utilità, perché costituisce la materia prima che rende possibile irrigare o inondare le parti del frutteto che lo richiedono, secondo regole, tempi e modi puntuali; dall’altra il diletto, perché in essa la superficie piana e orizzontale dell’acqua e il riflesso del cielo portano un senso profondo di pace, di serenità e di contemplazione.
Il quadrilatero sopraelevato d’acqua dell’al-Ghrsiyya e la piccola isola quadrilatera che sta al suo interno, rinviano verso l’ordinata trasparente forza della ragione, verso il primato della filosofia, verso una tensione a conoscere il mondo grande del cosmo e il mondo piccolo del giardino attraverso l’idraulica e la biologia, l’aritmetica e la geometria, la musica e l’ottica, l’astronomia e l’astrologia. E non si può non ricordare che qui ha vissuto a lungo, ha scritto alcune sue opere fondamentali ed è morto il filosofo Averroè (Ibn Rochd, Cordoba 1126-Marrakech 1198).
L’Agdal di Marrakech ci invia inoltre una lezione storica sulle regole di gestione e di messa a dimora delle piante sia per le distanze reciproche sia per la posizione relativa al flusso dell’acqua, sia per la posizione relativa all’insolazione, così da diffondere nel disegno del giardino il legame proprio della semplicità e della chiarezza, della bellezza e dell’utilità, in tutto il mondo musulmano e in quello mediterraneo, dall’Andalusia fino alla Sicilia, con un ideale rimando tra i minareti e i giardini di Marrakech, di Siviglia e di Palermo, tra la Koutoubia, la Giralda e la Zisa, tra i giardini dell’Alcázar e quelli della Conca d’Oro.
Dalla metà del XX secolo la grande trasformazione della città, i ritmi impressionanti della sua crescita quantitativa, la dilagante e universale attitudine a tecnicizzare e intubare la distribuzione dell’acqua hanno sottoposto l’intera struttura dell’Haouz e dell’Agdal di Marrakech a una dura prova. In particolare la rete delle gallerie e dei pozzi, delle khettara non più direttamente utilizzate (ma in alcune situazioni scorre a tutt’oggi acqua limpida e pescosa), è stata esposta a un rapido degrado. L’Agdal resta, in questo contesto e nonostante tutto, un capo d’opera del tutto speciale.
Dal 1986 è entrato a far parte dei siti sui quali il re esercita direttamente la responsabilità gestionale. Per l’Agdal ne è venuta indubbiamente nuova linfa verso una tendenza di salvaguardia e valorizzazione.
Con il riconoscimento del ruolo cruciale svolto nella storia del giardino dalla civilizzazione islamica, l’undicesima edizione assume il significato di un appello rivolto anche alle autorità governative del Marocco: per favorire ogni sforzo, internazionale e locale, per la salvaguardia e la valorizzazione in tutto il Mediterraneo dei luoghi che costituiscono un riferimento tanto fragile quanto imprescindibile dei fondamenti della cultura occidentale del paesaggio; per trasmettere questo patrimonio alle generazioni future e per far conoscere più largamente la civiltà dell’acqua della quale fa parte.
A questo fine la giuria affida il sigillo di Carlo Scarpa a El Mniai El Houcine, direttore aggiunto dei Domaines Agricoles Royaux, e devolve trenta milioni di lire italiane a un gruppo di studio coordinato da Ouidad Tebbâa, che nell’Università di Marrakech ha già più volte promosso iniziative scientifiche in questo ambito, e composto da studiosi e operatori di varie specializzazioni, tra i quali Jalila Kadiri, storica e funzionaria del Ministero dei beni culturali, e Mohammed El Faïz, che lavora sulla storia del paesaggio agrario nell’Università di Marrakech, per affrontare nuove ricerche che facciano conoscere ancor meglio la fondazione e l’evoluzione dell’Agdal.
Nel consegnare a Treviso, il 13 maggio del 2000, un premio internazionale a un giardino del Marocco, a un luogo di intensa qualità di natura e di memoria dovuto a quella civilizzazione, la giuria intende infine rendere esplicito il significato ideale di questo riconoscimento, come contributo per arricchire le ragioni antiche della stima con nuove aperture culturali e nuovi canali di reciproca conoscenza.
sabato 13 maggio 2000
Nel corso della cerimonia pubblica è stato consegnato il sigillo di Carlo Scarpa a El Mniai El Houcine (Domaines Agricoles Royaux) e il contributo finanziario di trenta milioni di lire italiane per nuove ricerche a un gruppo di lavoro coordinato da Ouidad Tebbâa(Università di Marrakech) e composto, tra gli altri, da Jalila Kadiri (Ministero dei beni culturali) e Mohammed El Faïz (Università di Marrakech), che sono intervenuti per dar conto del quadro geografico e storico del patrimonio del Marocco; delle khettara dell’Haouz di Marrakech e in generale di quella civiltà dell’acqua; della vicenda dell’Agdal e della sua condizione attuale. |
Fondazione Benetton Studi Ricerche
/ en.fbsr.it stampa del 22 novembre 2024
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