Castelvecchio di VeronaPremio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino |
Motivazione della giuria
La giuria del Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino ha deciso all’unanimità di dedicare la dodicesima edizione al Castelvecchio di Verona.
È un luogo che appare oggi come stratificazione, quasi come collage avventuroso di sedimenti diversi della memoria; fatto di parti, momenti, materiali, figure d’acqua diverse, dal grande fiume che passa sotto i tre archi del suo ponte ai piccoli gesti di artificio disegnato, vertici dell’invenzione del nostro tempo. Spazi e manufatti formano insieme un sistema sorprendente di torri, corti, giardini, percorsi nei quali si alternano stanze e spazi aperti senza soluzione di continuità, camminamenti orizzontali e verticali. Molti pezzi sono stati montati, smontati, di nuovo rimontati, aggiunti e sottratti, da una vicenda storica lunga almeno due millenni. Eppure l’insieme dà forma a una testimonianza storica unitaria.
Castelvecchio occupa una posizione cruciale nella forma e nella vita della città. È situato là dove la strada Postumia, decumano massimo di Verona romana, si stringe contro la prima grande ansa dell’Adige, mentre la seconda racchiude nel suo perimetro la città fino all’età comunale. Dopo le dominazioni gota, longobarda e franca, il Comune, nella prima metà del XII secolo, fissa il nuovo limite della città a occidente, con un gesto semplice e definitivo che taglia la penisola abitata con un muro e un canale passante (Adigetto).
Dopo un trentennio ezzeliniano (alla metà del Duecento) e dopo che la Signoria scaligera (negli anni venti e trenta del Trecento) ha drasticamente ampliato la forma urbis, spostando all’esterno il sistema difensivo, viene decisa proprio qui, nel groviglio tra fiume, canale e strada romana, la costruzione di una residenza fortificata. Il castello scaligero assume così (alla metà del Trecento) la sua prima forma compiuta di grandiosa macchina deterrente, inglobando preesistenze antiche e medievali e dotandosi, poco dopo, di un ponte che permette l’uscita oltre il fiume. Il castello, che inizialmente porta il nome di San Martino in Aquaro, la piccola chiesa racchiusa nel cortile delle armi, si costituisce così come fortezza e come crocevia di libero movimento, aditus-exitus, sia verso la campagna sia verso la città
Il castello, le torri, le mura, i cortili, il ponte subiscono nel tempo molteplici trasformazioni, anche radicali, nell’assetto fisico e nell’uso.
È dunque residenza scaligera all’origine (1354-1387); fortezza viscontea prima e carrarese poi nel ventennio successivo (1387-1402, 1402-1405); caposaldo militare veneziano per quasi quattro secoli, arsenale (1405-1796), e poi anche accademia di ingegneria militare (dal 1762); caserma napoleonica per un ventennio (1796-1814), anche quando gli austriaci si attestano sull’altra sponda del fiume (dal 1801); caserma austriaca per oltre mezzo secolo (1814-1866); caserma italiana per oltre mezzo secolo (1866-1925). Nel 1923 Castelvecchio viene ceduto dal demanio militare al Comune di Verona, che continua a ospitare il circolo ufficiali e che nel 1925 istituisce un museo in forme medievalizzanti nell’ala verso il fiume del cortile delle armi. Alla fine degli anni cinquanta inizia il processo di radicale trasformazione museale ancora in atto.
Intere parti sono rifatte in età moderna e contemporanea. Il ponte, in particolare, fatto saltare dall’esercito tedesco nel 1945, è, salvo i piloni, interamente ricostruito “com’era e dov’era”. Il cortile delle armi (corte d’onore) diventa giardino nel Novecento e cambia più volte disegno.
Pure, nonostante (forse proprio grazie) a queste vicissitudini, questo collage avventuroso messo insieme da una storia di lunga durata, esprime con forza unitaria e leggibile il proprio patrimonio di memoria. Questo luogo si mostra al nostro tempo e alla nostra sensibilità con le fattezze di una speciale capacità di metabolizzare cambiamenti e di pretenderne altri, nuovi, novissimi.
Castelvecchio possiede una percettibile vitalità, dimostrazione che la qualità di un luogo, la sua stessa identità, sono innanzitutto date dall’inesauribile tensione verso nuovi equilibri tra conservazione e innovazione; e che questi equilibri possono essere cercati solo all’interno di un suo governo coordinato e autorevole.
Ormai da mezzo secolo Castelvecchio esprime il suo carattere riconoscibile nella forma e nella vita di un museo, museo non museificato, museo come centro gravitazionale per la conoscenza della storia di sé, della storia della città, della storia delle arti della città e del territorio pertinente.
Castelvecchio è, dunque, la dimostrazione del valore che può assumere il dialogo tra una committenza pubblica illuminata e una capacità mirabile di misurare forme, distanze e dimensioni di oggetti e di giardini, e di dominare col disegno il rapporto inventivo tra oggetti e spazi aperti. In questo senso assume particolare luce il capitolo novecentesco costituito dal dialogo tra Licisco Magagnato e Carlo Scarpa; e Castelvecchio diviene così anche il luogo che la giuria sceglie per mostrare quanto sia significativo e pregnante il fatto che il premio porti il nome di questo felice inventore di giardini.
Né va sottovalutato, sempre all’interno di questo capitolo novecentesco, il ruolo giocato da una Soprintendenza aperta a iniziative non usuali di restauro e di ritrovamento.
Il riconoscimento diviene così auspicio, convinzione, che gli attuali responsabili sapranno proseguire in questa direzione coraggiosa. Si tratta di porre con lungimiranza la questione dell’unificazione gestionale di Castelvecchio come grande museo moderno, favorendo soluzioni adeguate per il trasferimento di funzioni prestigiose ma incongrue. Si tratta di assumere l’ambito situale che comprende il castello, il ponte scaligero, il viale e i giardini che portano all’arsenale austriaco, futuro museo della scienza e della storia naturale, come un insieme paesaggistico e urbano coerente. Si tratta di ripensare la qualità potenziale degli spazi esterni contigui, in particolare affrontando progettualmente il punto di divaricazione tra Adige e Adigetto, e la questione irrisolta della collocazione e dell’orientamento dell’Arco dei Gavi, e dell’assetto del suo immediato contesto.
Questa tensione a proseguire su di una linea di governo delle modificazioni, appare nelle varie altre ipotesi di intervento puntuale, a partire dalla estensione del sistema dei percorsi verticali nelle torri e dei camminamenti sui rimparti delle mura, attualmente all’avvio esecutivo. In questa direzione anche il previsto nostro contributo di trenta milioni di lire italiane potrebbe essere utilizzato per una di queste operazioni di indagine o di proposta pertinente a uno degli spazi aperti. La giuria esprime infine la speranza che la dodicesima edizione del Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino possa costituire testimonianza utile per tutti i cittadini, messaggio eloquente sulla complessità, sulla difficoltà, sulla necessità di un lavoro permanente e coraggioso dei responsabili e degli operatori per la valorizzazione dei luoghi nei quali si addensano i patrimoni di natura e di memoria.
sabato 12 maggio 2001
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Fondazione Benetton Studi Ricerche
/ en.fbsr.it stampa del 22 novembre 2024
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